“La cucina è arte: ma è arte di genio e di gusto; e quell’uomo che non ha né genio, né gusto non deve parlar di cucina”.
VINCENZO CORRADO
Vincenzo Corrado, nato ad Oria nel 1736 da una umile famiglia, rimasto orfano di padre, ancora adolescente, divenne paggio alla corte del Principe di Francavilla Fontana e Marchese di Oria, Michele Imperiali, gentiluomo di camera di Ferdinando IV di Borbone.
Trasferitosi intorno al 1750 al seguito del nobile pugliese, dopo il noviziato presso la Congregazione dei Padri Celestini, proseguì il suo percorso di studi in diverse materie, tra cui matematica, astronomia, filosofia e fu avviato anche allo studio delle scienze naturali e dell’arte culinaria.
Nominato successivamente “capo dei Servizi di Bocca” dal principe di Francavilla, presso il Palazzo Cellamare, divenne punto di riferimento della cucina aristocratica del tempo, per la sua capacità di rimanere fedele alla tradizione culinaria napoletana, contaminandola, allo stesso tempo, con le cucine straniere, in particolare quella francese.
La bravura del giovane cuoco fu quella di allestire elegantissimi e scenografici banchetti, grazie anche al supporto di un piccolo esercito che comprendeva vari esperti, tra cui maestri di casa, cuochi, maggiordomi, domestici e paggi, incaricati, questi ultimi, di assistere, decorare e servire ai tavoli.
Ma il vero successo storico Vincenzo Corrado lo ottiene con il suo trattato di arte culinaria intitolato “il Cuoco Galante”, pubblicato in prima edizione a Napoli nel 1773. Il volume, ristampato in varie edizioni revisionate, riflette in maniera semplice ed esauriente la raffinata cultura gastronomica della Napoli borbonica che univa tradizione locale, influenze mediterranee e gusto francese.
Più che un semplice ricettario, il trattato, suddiviso in vari capitoli e paragrafi, è unanimemente riconosciuto come un manuale di eleganza e dell’arte del convivio con indicazioni sull’organizzazione dei banchetti e sul modo di cucinare le vivande.
Corrado pone grande attenzione alla natura e alla stagionalità, esaltando la semplicità e l’equilibrio dei sapori in un’ottica di armonia tra cibo, salute e bellezza. L’opera ebbe un’influenza duratura sulla letteratura gastronomica italiana, contribuendo a definire la cucina napoletana come una grande tradizione europea e restando, ancora oggi, una testimonianza preziosa della civiltà e del gusto del Regno di Napoli.
Morì a Napoli l’11 novembre 1836, all’età di 100 anni.