Buona cucina e buon vino, è il paradiso sulla terra!
ENRICO IV DI BORBONE
A partire dal XVI secolo la Francia di Enrico IV di Borbone, oltre ad influenzare diverse vicende storiche e culturali in Europa, ebbe un ruolo fondamentale nel rinnovamento gastronomico e negli usi culinari di corte.
Tale influsso investì successivamente anche i regni di Napoli e di Sicilia di Carlo e Ferdinando IV di Borbone, tanto che fu introdotta a corte, tra il XVIII e il XIX secolo, la figura del “Monsù” (o Monzù). Il termine, traduzione dialettale della parola francese monsieur (da monsier le chef), indicava i capocuochi delle case aristocratiche francesi e, nel corso dell’Ottocento, si diffuse all’interno delle cucine del Regno delle due Sicilie, introducendo nuovi piatti e modificando le abitudini alimentari dell’aristocrazia meridionale.
Partendo da una base francese i Monsù contribuirono ad innovare i gusti dell’aristocrazia partenopea introducendo nel repertorio culinario napoletano, elementi quali la salsa di pomodoro (fautrice principale della fama della cucina napoletana) e piatti divenuti poi tradizionali, come il sartù di riso, il ragù (da ragout), il Gattò di patate (o Gatò), i crocchè (da croquettes), i supplì, i babà e il timballo; contribuirono inoltre ad arricchire la parmigiana di melanzane e la pizza.
La Real Casa aveva anche cura di servirsi, all’interno delle proprie cucine, solo di alimenti provenienti dalla rete dei siti e reali delizie della corte. Sulla tavola dei Borbone non mancava la selvaggina, come quella allevata presso la Real Fagianeria di Caiazzo. Il fagiano era ritenuto, infatti, particolarmente pregiato e i Sovrani ne consumavano anche le uova.
I reali, inoltre, apprezzavano in modo particolare anche le portate a base di pesce: quello di mare proveniente dalle acque del Golfo di Napoli, quello d’acqua dolce allevato nelle Peschiere del Real Sito di Portici e Caserta. Di particolare qualità fu l’allevamento di ostriche e militi impiantati dai sovrani presso il lago Fusaro di Bacoli.
Nelle cucine borboniche abbondavano latte e formaggi prodotti da animali pregiati e selezionati, come il burro di Carditello, e frutta varia, che cresceva senza problemi anche d’inverno, grazie a serre e stufe, come quelle presenti presso il Giardino Torre del Real Sito di Capodimonte.
Ad esaltare le pietanze c’era sempre un buon vino: le vigne leuciane offrivano diverse varietà di “vini nobili”, alcune delle quali destinate esclusivamente alla Mensa Reale, come il vino Pallagrello. Altre bevande venivano refrigerate con neve raccolta e conservata sotto terra e servite nei rinfrescatoi o nelle geliere.
I Borbone avevano persino un’acqua preferita, quella del Triflisco, apprezzata per le sue proprietà terapeutiche. L’olio che arrivava a corte proveniva, invece, dagli oliveti di Caserta e San Leucio.
Tra le figure di spicco nella gastronomia napoletana del tempo un merito particolare lo ebbe Vincenzo Corrado, il “Cuoco Galante” che riuscì a far sposare la raffinata cucina francese con i sapori autentici del Mediterraneo. Curioso di conoscerlo? Segui i prossimi articoli dei “Diari Reali”!